Approfondimenti

Vent’anni di Kilchoman: le lezioni del fondatore Anthony Wills

Nel 2025 Kilchoman festeggia vent’anni e Anthony Wills – fondatore e regista del progetto – mette in fila ciò che ha imparato lungo la strada: entusiasmo, ostacoli molto concreti e scelte tecniche che hanno inciso sul carattere del whisky. Il tutto in un momento complicato per il settore: domanda incerta, investimenti rimandati, progetti di espansione congelati. La ricetta di Wills resta la stessa: testa bassa, coerenza di visione e lavoro di lungo periodo.

Dall’indipendente alla distilleria (quando sembrava follia)

Prima di costruire la distilleria, Wills lavorava come imbottigliatore indipendente, comprando singole botti per un pubblico in crescita. All’inizio anni Duemila l’idea di fondare una distilleria su Islay non era affatto popolare: per raccogliere capitali servì convincere investitori privati disposti a crederci e a tornare più volte sul portafoglio. Dal 2010, però, la distilleria è costantemente in utile: avere il proprio distillato cambia i conti e dà resilienza nei momenti duri.

Perché proprio Islay: pedigree e contraddizioni

Islay era la prima scelta (Campbeltown la seconda), complice un legame familiare e, soprattutto, il pedigree del nome “Islay”. Per molti distributori, avere in portafoglio un single malt di Islay “proprio” è stato un plus competitivo. Al tempo stesso, gestire un’azienda sull’isola è complicato: logistica e housing per il personale sono la croce quotidiana. Ma lo stile di Islay – salmastro, marittimo, torbato – continua a stregare gli appassionati e a dare identità.

Scelte tecniche che contano

Fin dai primi progetti, l’obiettivo è stato ottenere uno spirito capace di essere rilasciato giovane senza risultare acerbo. Da qui una serie di scelte: alambicchi compatti con collo lungo (più contatto con il rame), un taglio alto in distillazione e soprattutto legni di qualità – anche costosi – per la maturazione (forse un po’ meno per alcuni finish…). Nel tempo, approvvigionamenti stabili da produttori di sherry e da chi fornisce ex-bourbon di alto profilo hanno fatto la differenza.

Dalle prime botti alla gamma di oggi

La prima botte è del 14 dicembre 2005, il primo single malt esce nel 2009. Oggi la gamma copre esigenze diverse: Machir Bay (base ex-bourbon con una quota sherry aumentata di recente per dare più ricchezza), Sanaig (alta proporzione Oloroso), Batch Strength (blend di re-charred red wine + bourbon + sherry imbottigliato a 57%), Loch Gorm (solo Oloroso, annuale). Le edizioni 100% Islay restano il DNA della distilleria: l’ultima, la quindicesima, usa malto a circa 20 ppm e maturazione tutta ex-bourbon.

Per il ventennale è arrivata anche la 20th Anniversary Cask Series: quattro imbottigliamenti che raccontano il percorso fatto (14 anni ex-bourbon a 51,2%, 14 anni 100% Islay in Oloroso a 55%, 15 anni sherry a 52,7%, 18 anni ex-bourbon a 46%). E c’è persino una lotteria legata al Cask #1 (riempito il 14 dicembre 2005), gesto simbolico verso chi segue la distilleria da sempre.

Crescita, magazzini e fotovoltaico

Dai circa 100.000 litri/anno degli inizi (si parlava di 7 botti a settimana) si è passati a una produzione H24 vicino ai 650.000 litri/anno, con oltre 40 dipendenti e una rete di più di 50 distributori. Sul fronte infrastrutture: un magazzino a scaffalatura da 7.168 posti (tra barrel e hogshead) e un impianto fotovoltaico in copertura fino a 100 kW, sufficiente – nelle condizioni migliori – a coprire il fabbisogno della distilleria.

Dal campo alla bottiglia (sul serio)

Nel 2015 la famiglia ha acquistato la farm su cui sorge la distilleria: circa 3.000 acri complessivi, con ~200 acri destinati all’orzo seminato in primavera per limitare i danni di cervi e oche grigie. Le rese sono inferiori rispetto alla terraferma, ma la filosofia è chiara: non conta solo la quantità, conta ciò che metti in botte. La filiera corta aiuta a governare stile, tempi e qualità.

Club, cask privati e agilità

Nel 2024, per la prima volta, Kilchoman ha offerto botti private ai membri del Club attraverso un sistema di sorteggio, proposta rilanciata nuovamente la settimana scorsa. È un segnale della flessibilità di una realtà che, pur senza economie di scala, può muoversi rapidamente tra richieste del mercato, appassionati e canali di vendita. L’idea di “piccolo ma agile” qui trova una prova concreta.

Famiglia Wills: non solo sulla carta

Dal 2011 Anthony e Kathy Wills sono affiancati dai tre figli, George, James e Peter, oggi impegnati su vendite e marketing, mentre Anthony segue la produzione (con il production manager Robin Bignal) e Kathy coordina il visitor centre. A conferma della loro presenza “sul campo” ho incontrato personalmente Peter Wills durante una tappa italiana dell’European Tour 2023 e mi sono fatto firmare le due bottiglie del tour. Un dettaglio, certo, ma una prova che la seconda generazione non è solo in organigramma: è in prima linea con gli appassionati.

Il fuoco del 2006 (e la memoria che resta)

Il 12 febbraio 2006 un incendio al kiln segnò i primi anni della distilleria: il malto in essiccazione prese fuoco e i danni furono ingenti, anche se i pompieri di Islay riuscirono a contenere il peggio. È un episodio che a Kilchoman non si dimentica: viene spesso ricordato durante le visite e, all’ingresso, resta come un piccolo monito di quanto questo lavoro sia fatto anche di rischi reali e lezioni imparate sul campo.

Cosa resta davvero delle “lezioni” di Wills

Capitale paziente, filiera sotto controllo e legni eccellenti; la consapevolezza che Islay è al tempo stesso un vantaggio competitivo e un rompicapo operativo; la flessibilità di un’azienda piccola che può cambiare rotta più in fretta; e, sopra a tutto, l’idea che non basta amare il whisky: bisogna essere innamorati del progetto. È così che una scommessa “da folli” è diventata una distilleria con una voce riconoscibile nel coro affollato dello Scotch.

Francesco De Val

Appassionato di whisky torbati, ha visitato Islay per tre anni di fila.

Potrebbe anche interessarti...